Lo "Svolo del Turco" e Giovedì grasso


La festa del Giovedì Grasso che si teneva in Piazzetta S. Marco era una festa celebrativa di un’importante vittoria della Serenissima Repubblica, contro il patriarca Ulrico, devoto dell’imperatore, a causa di una bolla del Papa Adriano IV che assegnava tutta la Dalmazia al Patriarcato di Grado. 

Approfittando della guerra in corso tra Venezia e le città di Padova e Ferrara Ulrico aiutato da feudatari della Carinzia e del Friuli, assalì la città di Grado e costrinse alla fuga il patriarca Enrico Dandolo.

Il Doge Vitale Michiel II non fece passare molto tempo per riparare l’oltraggio, puntò la potente flotta veneziana verso Grado, sconfiggendo il povero patriarca Ulrico e i dodici feudatari ribelli, annientando così tutto il loro orgoglio. 

Condotti a Venezia, per intercessione del Papa, furono rilasciati, ma Venezia chiese come risarcimento che ogni anno per il Giovedì Grasso il Patriarca di Aquileia mandasse ai veneziani un toro e dodici maiali ben pasciuti. Gli animali venivano accolti quindi come prigionieri in Palazzo Ducale, posti sopra a delle ricostruzioni lignee rappresentanti i castelli friulani . Tale onore era affidato alla Corporazione dei fabbri, assistiti da quella dei macellai (becheri) che poi li macellavano per tutto il popolo veneziano: dal nobile al condannato.

Da qui nasce il detto veneziano: “tagiar la testa al toro” (che significa togliere di mezzo gli ostacoli.. finire in maniera definitiva un problema), poiché con il taglio netto della testa del toro era posta la fine dello spettacolo.

Nel 1420 questa usanza fu abolita quando il Friuli passò sotto la dominazione di Venezia in quanto la festa si era trasformata in gioco senza malizia che durò fino alla fine della Repubblica e della sua origine storica rimase solo la partecipazione del doge. 

La festa del Giovedì Grasso trovava il suo culmine nelle acrobatiche imprese di funanboli che eseguivano le loro imprese. 

Il famoso “volo del Turco” spettacolo che si tenne per la prima volta nel 1548 da un equilibrista turco (da qui il nome) che con bilanciere in mano salì camminando su una fune da una barca in mezzo al bacino S.Marco sino alla cella del campanile di S.Marco.

Da una barca solidamente ancorata nel molo, davanti alla Piazzetta, l’acrobata riuscì ad arrivare fino alla cella campanaria del Campanile di San Marco, camminando su di una corda soltanto con l’aiuto di un bilanciere. 

Fu una cosa impressionante, ed entusiasmò talmente il popolo veneziano che da quell’anno l’impresa, chiamata ormai “Svolo del Turco” (Volo del Turco), fu sempre richiesta a gran voce e per secoli si rinnovò durante il Carnevale. Di solito si svolgeva il Giovedì Grasso, con la Piazza San Marco gremita dalla folla incitante e alla presenza del Doge e della nobiltà.

Nelle versioni successive lo “Svolo” fu ripetuto sempre da acrobati professionisti, fino a quando alcuni popolani della categoria “Arsenalotti” (le maestranze dei cantieri dell’Arsenale) non vollero provare essi stessi, prendendo la cosa così a cuore da diventare, nei secoli, la categoria specializzata in tale impresa.

Con gli anni lo “Svolo” cambiò forme ed usanze, diventando una cerimonia ufficiale che sostanzialmente si divideva in tre fasi, che il cosiddetto “Turco” (o “Angelo” per le ali finte che aveva addosso) doveva svolgere: 

  1. salire sulla corda fino al campanile facendo spettacolo; 
  2. scendere poi con piroette fino alla loggia del Palazzo Ducale dove il Doge, assieme a tutto il potere politico e agli ambasciatori stranieri, riceveva dalle sue mani un mazzo di fiori o delle carte con dei sonetti;
  3. risalire sul campanile.

Spesso in cambio del mazzo di fiori il Doge premiava il “Turco” con una somma di denaro.

E’ proprio vero che la fantasia acuisce l’ingegno: i modi per salire e per scendere dal campanile furono molti e sempre più tecnologici: doppie e triple corde, argani, verricelli e molte “scappatoie” per annullare la forza di gravità. 

Ed anche lo spettacolo non era sempre uguale: durante il carnevale del 1680 tale Sante da Ca’ Lezze riuscì a salire fino alla cella campanaria con un cavallo vivo, salì poi sopra l’angelo dove si esibì in mille piroette. Durante il carnevale dell’anno seguente salì addirittura con una barchetta, facendo finta di vogare con vera maestria da commediante e, arrivato alla cella campanaria risalì sulla testa dell’angelo con giochi da equilibrista.

A volte si svolgevano più “Svoli” contemporaneamente, come nel 1760 quando ben quattro persone si cimentarono nell’impresa: il primo salì a cavallo di un satiro, il secondo sopra una barchetta, il terzo con due cannoncini legati al corpo ed il quarto, libero da pesi ma ottimo equilibrista, fece trattenere il fiato a tutti per le sue arditissime evoluzioni.

Gli incidenti non mancarono, come quel tale Nane Bailo, di una famiglia di famosi arsenalotti, che nel 1759 si schiantò tra il raccapriccio della folla.  

Dopo quella tragedia il programma si svolse sostituendo l’acrobata con una grande colomba di legno che nel suo tragitto, partendo dal campanile e arrivando al Palazzo Ducale, liberava sulla folla coriandoli e fiori. Dalla prima edizione il Volo dell’angelo fu chiamato il Volo della Colombina.

Questo evento, come la maggior parte delle altre ricorrenze e spettacoli, con la fine della millenaria storia della Serenissima si interruppe per lungo periodo.

Il Volo dell’Angelo fu reintrodotto nelle edizioni moderne del Carnevale di Venezia. A partire dal 2001 il Volo della Colombina è ritornato ad essere il Volo dell’Angelo. La colomba in legno è stata sostituita da una persona. Riportando in vita l’antico rito di omaggiare il doge che proclama l’inizio del Carnevale di Venezia. In un tripudio di palloncini colorati e coriandoli.

Da questa data il Volo dell’Angelo non si svolge più il Giovedì Grasso, ma il primo giorno del carnevale. Dando inizio così ai festeggiamenti a Venezia.



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