La savata e la maschera di Pantalon

 


La parola ciabatta sembra derivi dall’ebraico “shabbat”, sabato, in quanto gli ebrei usavano indossarle in questo giorno. Trattandosi di calzature per definizione casalinghe, facili da mettere e da togliere, erano perfette per il “giorno del riposo”, improntato allo stare in casa e alla rilassatezza. Il termine entrò nella lingua italiana attraverso le comunità di ebrei sefarditi (spagnoli) che migrarono in Italia dalla penisola iberica nel 1492. Verosimilmente venne prima adottata da vari dialetti regionali come il milanese (sciavatt) ma soprattutto il veneziano (savata).

Venezia è famosa per la sua antichissima e prospera comunità ebraica, basti pensare che la parola “ghetto”, oggi diffusa in tutto il mondo, deriva dall’omonimo “campo” della città lagunare in cui risiedevano gli ebrei.

La parola ghetto è utilizzata a partire dall’inizio del sedicesimo secolo e deriva dal veneziano “ghèto”, che significava fonderia (il luogo dove si “gettava” il metallo). Infatti il termine in un primo tempo designava il quartiere delle fonderie a Venezia, che era quello dove si erano stabiliti gli ebrei.

Furono forse proprio i profughi israeliti dalla Spagna ex musulmana a portare a Venezia per la prima volta questo, oggi più che mai indispensabile, capo di abbigliamento, che è probabilmente modellato sulle babbucce arabe.

Nella Venezia rinascimentale gli ebrei indossavano una sorta di costume tipico: palandrana di foggia orientale, “savàte” e berretto rosso. 

Erano obbligati a indossare questo copricapo per legge, per essere facilmente riconoscibili.

Così si veste la popolare maschera di Pantalon de’ Bisognosi, che nacque probabilmente come caricatura, come si evince anche dalla sua barbetta caprina e dalla sua caratteristica maschera con il naso a becco.

Con la popolarità europea della Commedia dell’Arte anche la maschera di Pantalone varcò i confini italiani, ispirando altre immortali figure di avari teatrali come l’Arpagone (ricalcato già nel nome) di Molière.

E poi c’è l’ebreo Shylock del “Mercante di Venezia” di Shakespeare, che è praticamente un Pantalone in versione tragica.

Sempre in Inghilterra, facciamo un salto di due secoli e troviamo Ebenezer Scrooge del “Canto di Natale”, che con la sua vestaglia, il berretto da notte e le pantofole non è che l’ennesima incarnazione di Pantalone.

Probabilmente Dickens, da buon inglese, si sarà ispirato allo Shylock shakespeariano, ma non è da escludere anche nel suo caso un prestito diretto dalla Commedia dell’arte, ancora popolarissima in epoca vittoriana, Dickens del resto amava moltissimo Venezia.

Un altro salto ed eccoci negli Stati Uniti del 1947, dove l’ “uomo dei paperi” Carl Barks si ispira all’avaro per eccellenza della cultura anglosassone per creare un altro Scrooge con becco e piume: Scrooge McDuck.

Quando i fumetti Disney sbarcano in Italia al traduttore Guido Martina, ex professore di letteratura, viene naturale ispirarsi all’avaro per eccellenza della cultura italiana e così da Pantalon de’ Bisognosi… ecco Paperon de Paperoni.

Dopo un secolare viaggio intorno al mondo (che non gli è costato nulla) l’avaraccio veneziano torna finalmente a casa.

La palandrana, «comprata a un’asta nel 1902», è rimasta, ma il berretto rosso ha ceduto il posto al cilindro e le savàte alle più eleganti ghette.

La parola “savàta” è piuttosto usata a Venezia e in Veneto anche nelle sue derivazioni:

  • Savàta: ciabatta
  • Savàtada: colpo inferto magistralmente con una ciabatta
  • Savatàr: camminare trascinando i piedi, eseguire un’azione in modo approssimativo
  • Savatòn: che va ciabattando con negligenza.

Mi hanno raccontato inoltre, che fino a qualche decennio fa, si usava dire per mandarsi a quel paese o per dimostrare incredulità l’espressione: “me nono pirata, che navigava su ‘na savàta”, in cui ritroviamo un chiaro riferimento al glorioso passato marinaresco della Serenissima.



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